LETTERA PERDUTA

Il 5 febbraio 2016 l'Archivio Vincenzo Agnetti inaugura il nuovo allestimento

“La Lettera Perduta” è il titolo del nuovo allestimento che l’Archivio presenta nello spazio di via Machiavelli 30, un allestimento dal forte impatto visivo che s’impone svelando i modi attraverso cui si sviluppa e declina l’operazione concettuale di Agnetti. In mostra sono una serie di lavori prodotti tra il 1976 e il 1980, uniti da un filo conduttore comune, la performance  “La Lettera Perduta”, presentata a New York presso la Galleria Ronald Feldman e a Palazzo Grassi, a Venezia, nel 1979. 
Con questo allestimento l’Archivio conduce il visitatore dentro i percorsi mentali della creazione artistica mostrando, attraverso il concatenarsi delle opere, il filo logico ed emotivo che sottende il suo lavoro.

Vincenzo Agnetti è un artista concettuale, ma il suo lavoro attinge a dimensioni poetiche che scardinano l’impianto cognitivo dell’operazione concettuale, i suoi lavori sono sempre in bilico tra dimensioni diverse: pittura, scultura, poesia, critica, ma anche tecnologia, scienza, critica politica; sono sempre sottese da una domanda implicita che innesca la ricerca artistica.


In questa mostra la domanda sottesa è: si può archiviare una performance? Agnetti mette in scena la contraddizione della performance, come lui stesso diceva: la tensione verso l’annullamento e la necessità cogente di essere ricordata.


Nell’opera “Quattro titoli–Surplace” che occupa il piano terreno dell’Archivio, Agnetti “esplode” la performance portandola con un doppio salto mortale nel mondo dei segni, qui incarnati in momenti fatti di ferro, di scultura. Il doppio titolo dell’opera ci rivela il salto logico. “Surplace” sono le sculture che colgono l’azione nel momento dello scatto, “Quattro titoli” sono le fotografie di quattro momenti della performance:
Le fotografie collocate a fianco delle sculture sono i titoli. Fotografia e scultura rappresentano, nel loro insieme, cinque dimensioni: il peso, il tempo (sottratto a una mia performance), l’altezza, la larghezza e la profondità. Ancora una volta lo spazio rimane l’insegnante di oggetti.
Oltre a “La lettera perduta” del 1979 e a “Quattro titoli-Surplace” completano l’esposizione alcune opere della serie dei “Mutamenti”, “Le stagioni si ripetono” del 1976, e “I Ching” del 1977, che fanno parte della performance come una citazione, infatti i simboli dell’I Ching costituiscono il contenuto delle lettere.
L’allestimento da un lato attira il visitatore nei percorsi mentali della creazione, facendone assaporare l’impalcatura concettuale, ma dall’altro  lascia parlare le opere d’arte esclusivamente attraverso la loro presenza e il loro “essere”.

Guido Barbato